Parco di Paneveggio, gennaio 2017 |
Battezzai il primo album Stagioni montane e immaginai la seguente introduzione:
Il cielo dei nostri monti non ha mai lo stesso colore: blu cobalto, canna di fucile, rosa metallizzato, nuvoloso madreperlato, zaffiro trasparente, nebbia londinese, celeste pastello. Lo stesso si può dire delle rocce, dei fiori e dei prati d'alta quota. Tutto scorre, la natura cambia faccia giorno dopo giorno e noi con lei.
Pale di San Martino, gennaio 2017 |
Un'introduzione che mi sembra oltremodo attuale, considerata l'alternanza sempre più evidente tra inverni pressoché asciutti come quello attuale (con particolare riferimento alla data odierna e all'area dei Monti Pallidi) e stagioni fredde eccezionalmente nevose (prendiamo come esempio gli inverni 2008/09 e 2013/14). Ciò che fa riflettere non è tanto il luogo comune non ci sono più le stagioni di una volta, quanto piuttosto i picchi sempre più estremi del cambiamento: da tutto a niente (e viceversa) nel volgere di pochi giorni, settimane, mesi. Trasformando il luogo comune, si potrebbe affermare che le stagioni non cambiano più come una volta. E qui, con buona pace di chi si ritrova due fette di soppressa sugli occhi, è evidente che c'è lo zampino dell'uomo.