giovedì 18 aprile 2019

IN MONTAGNA, DI CORSA

Conservo un buon ricordo delle sporadiche ma intense competizioni di corsa in montagna cui ho partecipato con impegno saltuario e risultati per me di certo accettabili, a partire dai primi anni Duemila e fino a poco tempo addietro. L'idea originale era stata proposta fra colleghi in ambito dopolavoro, e l'avevo trovata stimolante soprattutto per comprendere appieno quali fossero i miei limiti fisici a trent'anni suonati, e provare nel frattempo a valorizzare quel poco di gioventù che era rimasta.
L'obiettivo prescelto fu senz'ombra di dubbio la Transcivetta, storica manifestazione che si svolge ogni fine luglio su uno dei gruppi dolomitici più conosciuti ed frequentati. Ci attendeva un percorso lungo 20 chilometri, con circa 2000 metri di dislivello in salita ed un tempo di attraversamento che in sede di gara si sarebbe assestato sulle 3 ore e mezza: una bella sudata da non prendere sottogamba!
Soprattutto all'inizio qualche Cassandra provò in verità a dissuaderci dall'impresa elencando nel dettaglio gli sfortunati decessi occorsi causa malore nelle precedenti edizioni della gara, ma eravamo tutti convinti di possedere grande quantità di metallo nella parte anteriore delle mutande, e andammo avanti decisi per la nostra strada.
I ricordi più istruttivi, più che al giorno della gara, sono legati agli allenamenti di gruppo organizzati per provare il percorso: imparai tante cose interessanti come la stranezza che sulle forti pendenze si va più veloci camminando piuttosto che correndo, la necessità di amministrare il senso di sete quasi continua che abitualmente perseguita l'escursionista montano, lo spettro del crampo da affaticamento che può assalirti anche in discesa ed ormai in prossimità della sospirata birra.
Una volta in particolare ci trovavamo al rifugio Attilio Tissi proprio davanti alla parete delle pareti, ma avevamo purtroppo fatto male i conti con gli orari d'apertura. Erano soltanto i primi giorni di giugno ed il locale non avrebbe aperto i battenti per un'altra settimana, mentre noi aspiranti sky-runners avevamo ingenuamente poche scorte alimentari e soprattutto idriche: rimediammo alla meglio mediante alcuni fichi secchi trovati nel locale invernale del rifugio, assai ostici da inghiottire perché avevamo la bocca impastata dalla fatica e non c'era nulla da bere. Sulla via del ritorno, fra il rifugio Vazzoler e Capanna Trieste, l'acqua tanto sospirata infine arrivò sotto forma di un violento nubifragio che ci diede il benservito conclusivo.
Ho preso parte a tre diverse edizioni della Transcivetta a partire da quel luglio 2004 e durante il decennio successivo. Venne anche la volta della Sei Rifugi da Misurina ad Auronzo (due partecipazioni) e qualche altra competizione di minore importanza. Ogni volta portavo a casa dei ricordi emozionanti, ma nello stesso tempo mi rendevo conto che tutto ciò rischiava di diventare riduttivo e limitante: la montagna non è una gara e nemmeno una palestra, almeno per il sottoscritto. Per di più, mi pesavano gli allenamenti intensivi sempre sugli stessi itinerari, con gli occhi soltanto per il cronometro.
Volevo tornare a guardare l'orizzonte. Fu così che indossai nuovamente scarponi e zaino da 35 litri, trovandoli peraltro bellissimi e promettenti. Non ho ancora cambiato idea.

giovedì 11 aprile 2019

DOPO LA TEMPESTA

A scanso di baggianate panoramiche, che sono purtroppo sempre in agguato e per di più pericolose assai, questa sera riscopro un paio di immagini risalenti ad inizio inverno e scattate in Val Fiorentina - Mondevàl nei primi giorni di dicembre 2018 nel corso di un'escursione insieme ad un amico. Le foto documentano le prime avvisaglie della stagione fredda sul gruppo montuoso dei Lastói de Formín, e di per sé non saranno oltremodo evocative. Col senno di poi, mi vengono comunque in aiuto per riordinare la sequenza cronologica di quanto si è mosso sopra le nostre teste - talvolta quasi sfiorandole - negli ultimi sei mesi.
La famigerata Tempesta Vaia è venuta e andata, sebbene la Val Fiorentina non compaia tra i territori più colpiti. Rifletto sul fatto che un tempo eravamo abituati al meteo che cambiava in modo repentino con particolare accanimento nella stagione estiva, mentre oggi osserviamo più di frequente manifestazioni sopra le righe degli elementi naturali che si scatenano in maniera diversa, in termini di qualità e quantità, anche in ambiti spaziali molto prossimi tra loro. Vedi per esempio la valanga d'acqua piovana che ha divelto i ponti in Valle di San Lucano piegando perfino le putrelle d'acciaio; vedi ancora il picco di vento a velocità uragano registrato sul passo Rolle; vedi infine le radure circolari con un diametro di cento, duecento metri provocate dalle trombe d'aria nei martoriati boschi di Paneveggio, quasi come fossero cadute delle bombe ad alto potenziale.
La giornata delle due fotografie, nel suo piccolo e con le dovute proporzioni, offriva una situazione con una variabilità analoga: bufera di neve, sole, vento, caldo e freddo, con cambiamenti repentini ed inattesi da un momento all'altro. Non scriverò alcun luogo comune a proposito delle stagioni di una volta e del mito che le vorrebbe sempre migliori di quelle attuali. Ma a rischio di ripetermi, sono convinto che le terre alte rappresentano il nostro limes. E dall'altra parte ci sono forse i leoni in paziente attesa che al momento buono si apra la gabbia.

venerdì 5 aprile 2019

REGINA VIARUM

Stando a quanto narrato nei libri di storia l'impero romano si sfasciò in via ufficiale nel 476 d.C. dopo un lento declino durato alcuni secoli, ma con mio grande sollievo la romanità non verrà mai meno. Ne sono stato testimone diretto alcuni anni addietro durante una delle mie prime visite alla città eterna, da me ritenuta in assoluto la più straordinaria dell'orbe terraqueo con buona pace di quanti continuano imperterriti a cantare le lodi di altre grigie e deprimenti metropoli senza anima e passato.
È una bella mattina di primavera piena di sole, ci troviamo sulla Via Appia antica sotto i celebri pini marittimi, ed abbiamo appena terminato di percorrere a piedi quelli che in antichità sarebbero stati gli ultimi otto chilometri della regina viarum per i viandanti in arrivo da Brindisi e diretti verso l'allora capitale del mondo antico: intorno a noi si estende a perdita d'occhio la bella e verde campagna laziale dove tuttora si ergono le vestigia degli acquedotti latini, mentre sul bordo della strada incrociamo a distanza ravvicinata monumenti ed antichi edifici legati al ricordo di personalità famose. Oltrepassiamo il tempio di Ercole Vincitore all'VIII miglio, e più avanti il mausoleo di Cecilia Metella: ancora oltre ci sono le catacombe di San Callisto dove la storia di Roma si mescola con quella della cristianità.
La quasi totalità del fondo stradale è stato ricostruito in tempi moderni per preservare l'integrità di questa testimonianza storica che oggi è anche una riserva naturale, ma alcuni tratti della pavimentazione sono originali e lasciano talvolta intravedere i solchi tracciati dalle ruote dei carri di due millenni fa. Il programma della giornata prevede anche una visita guidata ai resti archeologici della Villa dei Quintili, e dopo un breve pranzo al sacco ci prepariamo per l'ingresso in questo vero e proprio museo all'aperto, fra il verde ed i colori accesi degli alberi di giuda in fiore.
Il nostro è un gruppo di camminatori non numeroso ma composito, poiché facciamo parte di un'associazione che ha diverse sezioni nel Belpaese: questo giorno in particolare, inoltre, si è aggiunto alla comitiva un ulteriore partecipante che è originario della zona ed ha le sembianze di una maschera di Carlo Verdone con qualche anno in più, e sembra addirittura saperlo imitare con strabiliante perizia. Durante la visita, la guida ci spiega come come nel secondo secolo d.C. la villa fosse una residenza imperiale già appartenuta in precedenza ai due fratelli Sesto Quintilio Condiano e Sesto Quintilio Valerio Massimo, potenti proprietari terrieri in ottimi rapporti con gli imperatori Antonino Pio e Marco Aurelio: furono tuttavia meno fortunati quando venne la volta dell'imperatore Commodo, che li vedeva come il fumo negli occhi e li accusò di tradimento, facendoli condannare a morte ed impadronendosi così delle loro proprietà. Il Carlo Verdone de noàntri ascolta il racconto, concentratissimo.
La guida è esperta ed instancabile: ci illustra i diversi settori della tenuta, i mosaici ancora in ottimo stato di conservazione, il ninfeo privato dell'imperatore dove erano in funzione impianti termali e giochi d'acqua. Racconta in modo approfondito come poteva svolgersi la vita quotidiana di un sovrano assoluto di duemila anni fa, e alla fine si rende disponibile per eventuali domande e curiosità. È a questo punto che l'immortale romanità prende il sopravvento, quando il nostro ultimo venuto alza la mano e prende la parola per chiarire a se stesso alcuni dettagli di carattere storico che perfino lui, sebbene laziale e dunque ben calato nella peculiarità del luogo, sembra non afferrare del tutto. «M'è parso davvero interessante poco fa quando diceva che l'imperatore andava di qua, andava di là, faceva questo e faceva quello...», esordisce il simil - Verdone per arrivare infine al punto culminante della sua curiosità: «Ma questo imperatore di cui parlava, esattamente, era imperatoreddeché