venerdì 5 luglio 2019

E BIRRA SIA

Ho dato inizio qualche mese addietro ad un filone di articoli intitolato Arriviamo tardi prendendo spunto ancora una volta da un luogo comune: la montagna come sinonimo di provincialismo, sofferente cronica di arretratezza e chiusura congenita nei confronti delle novità, roccaforte del bel tempo che fu con tutte le conseguenze positive e negative che questo ruolo comporta. Molte volte non si può negare una certa dose di attendibilità a questo modo di dire in origine assai semplicistico. In altri casi mi piace invece pensare che noi montanari stiamo talmente indietro in termini di mode, tendenze ed innovazione, se vogliamo prendere ancora per buona la tradizione della dimensione circolare del tempo, che rischiamo addirittura di trovarci in anticipo sul giro successivo come un orologio rotto o un atleta con le ruote sgonfie. Forse l'argomento che tratto di seguito, pur nella sua evidente leggerezza favorita dalla temperatura sopra le righe, rientra a buon titolo in questo paradigma come chiaro esempio di persistenza del passato nel tempo presente. E come ripetono i miei amici di Cavaso del Tomba, nur ein Schwein trinkt allein...

Esplode l'estate in tutto il suo potenziale termico e l'escursionista, tanto alla basse quanto alle alte quote, inevitabilmente entra in stato di sofferenza. Mi sembra dunque doveroso spendere un po' di tempo ed impegno sull'argomento birra, che senza tema di smentite può essere riconosciuta come la bevanda preferita dai camminatori di ogni età. Birra e montagna vanno a braccetto non soltanto perché chi frequenta le terre alta mostra di apprezzarla assai, ma soprattutto in quanto la birra è per ragioni storiche un prodotto delle vallate alpine, quasi sempre in abbinamento ad ingredienti, tecniche ed attrezzature fortemente legate ai luoghi d'origine. Dolomiti bellunesi e Pedemontana veneta rappresentano un caso esemplare di questa vera e propria simbiosi, tanto che i nostri territori hanno anche dato i natali nel corso degli anni a diverse associazioni impegnate a divulgare cultura e pratica della birrificazione casalinga. Se non è infatti accertato dal punto di vista scientifico che chi beve birra campa cent'anni, fuori da ogni ragionevole dubbio appare invece ormai la tesi che vorrebbe il produttore di birra per autoconsumo risentire così bene della natura genuina della propria creatura da arrivare in scioltezza fino al traguardo dei centoventi anni senza nemmeno un acciacco.
Scherzi a parte, avrebbe forse potuto uno come il sottoscritto prendere sotto gamba una simile sfida? No di sicuro: com'è universalmente noto, oltre ad apprezzare il prodotto finito possiedo un'innata curiosità nei confronti di ciò che al giorno d'oggi viene definito know how. Oltre al Cosa, per dirla con parole povere sono attirato anche dal Come. Certo non si è trattato di un'avventura facile: le primissime brodaglie zuccherose ed insipide, con la consistenza della polenta molle, non rappresentavano proprio un esordio incoraggiante: servì diverso tempo per prendere la dovuta confidenza con fermentatori, lieviti, procedure di sterilizzazione ed altre diavolerie.
Soltanto con molte prove ed errori imparai un trucco che si rivelò determinante per non essere travolto da quantità spropositate di pentoloni sporchi ed appiccicosi dai residui di malto: approfittare dei numerosi tempi morti per portarsi avanti col lavaggio dell'attrezzatura, prima e dopo l'uso. Altre soddisfazioni vennero in seguito: il primo fermentatore da cinquanta litri, le potenzialità offerte dal lievito liquido, la magia della macinatura del malto alla vigilia della cotta, l'efficacia insostituibile di una serpentina in rame per raffreddare nel più breve tempo possibile la pozione luppolata al termine della bollitura. Il momento culminante della mia breve carriera di birraio dilettante fu senza dubbio la scoperta di quella che per qualche anno ritenni la mia ricetta preferita: una bitter di colore rosso intenso in stile britannico, dolceamara al punto giusto e con una schiuma da favola: ho finito le ultime bottiglie del prezioso reperto un sacco di anni addietro, ed ancora oggi le rimpiango.
Inutile ad ogni modo soffermarsi sulle glorie passate: i momenti di crisi e gli incidenti di percorso sono molto più interessanti e perfino divertenti da raccontare. Venne per esempio la volta in cui mi cimentai con la produzione di quaranta litri di bière blanche, ma al momento dell'apertura del fermentatore distolsi lo sguardo inorridito: dal contenuto emanava una puzza inconfondibile e nauseabonda di uova marce, che mi spinse naturalmente a pensare al peggio: era forse all'opera una temibile infezione batterica che aveva compromesso la cotta? Già mi preparavo spiritualmente a gettare tutto nel lavandino, quando un amico più esperto mi raccomandò pazienza: potevo comunque provare ad imbottigliare, sperando per il meglio. Alla fine aveva proprio ragione lui: dopo la maturazione in bottiglia il tanfo era scomparso, riassorbito da qualche strano processo chimico - biologico. Sono situazioni in cui è meglio non porsi troppe domande: la birra venne regolarmente consumata senza alcun effetto collaterale, ed io sono tuttora in vita per raccontarlo.
Anche la fermentazione del mosto può comportare alcuni inconvenienti, soprattutto quando nei primissimi giorni della cotta la fase tumultuosa si trasfigura per diventare furibonda nel senso più proprio del termine. Incontrai questo problema durante una delle prime cotte di birra stout: la ricetta era particolarmente calorica, il lievito liquido partito con la rincorsa, il fermentatore aveva forse dimensioni troppo ridotte in proporzione alla quantità di liquido, tanto che la schiuma sotto pressione cominciò a fuoriuscire in modo costante ed ostinato dal piccolo sifone chiamato in gergo tecnico gorgogliatore, mentre io passai i successivi tre giorni  a ripulire con la spugna quella densa schifezza dalle piastrelle del bagno.
Negli anni successivi l'entropia lavorativa ebbe la meglio, tanto che da autonominato mastro birraio a chilometri zero diventai in breve tempo semplice appassionato di birra ad ettolitri zero. Finito il tempo del Come, mi restò il Cosa e ad ogni modo feci di necessità virtù.

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