giovedì 21 febbraio 2019

SOGNARE, VIAGGIARE, CONOSCERE

Fausto De Stefani, dicembre 2005
Diversi anni fa scrivevo occasionalmente sul blog Intraisass su invito dell'amico Alberto Peruffo, e alla fine del 2005 pubblicai questo breve scambio di idee con l'alpinista Fausto De Stefani intervenuto in Veneto per una serata di presentazione di un suo libro. La versione integrale dell'intervista andò invece in stampa per il Corriere delle Alpi di Belluno negli stessi giorni. Ripropongo stasera il colloquio nella sua edizione corta, perché a distanza di quasi quindici anni mi sembra ancora attuale e pieno di riflessioni utili in materia di frequentazione sportiva o turistica della montagna.

Incontro per la prima volta Fausto De Stefani a Castelfranco Veneto, durante una manifestazione organizzata per promuovere e finanziare il suo progetto Una scuola professionale in Nepal. Devo all'amico Vittorino Mason il piacere di aver conosciuto questo personaggio, a dir poco fuori dal coro nonostante un coro vero e proprio, il mio, abbia precedentemente allietato la platea con un breve concerto natalizio.
Mi bastano pochi scambi di opinioni che subito penso: «Questo non sembra proprio un alpinista». Nessun malinteso, si tratta di un giudizio in senso positivo. La traduzione è: «Questo non è un conquistatore dell'inutile». È lo stesso Fausto a confermare il mio giudizio poco dopo: «Lionel Terray mi ha insegnato molto».
Fausto, che significa la tua affermazione «Vado alla ricerca di oasi, dove il pensiero e i sogni camminano parallelamente»? «La natura per me è favola, magia, mistero, sogno», risponde lui: «Credo che attraverso i sogni e la magia delle parole sia possibile viaggiare, sia possibile la conoscenza».
E cos'è allora la favola, lo incalzo ancora. «Non è solo fantasia, perché la favola contiene una buona dose di autenticità. Ma si tratta di una realtà che viene colorata dalla nostra soggettività: non esistono rumori, ci sono bensì suoni e armonie della natura che bisogna imparare ad ascoltare e distinguere».
Ma tu sei anche famoso per la ricerca dell'essenzialità nell'attrezzatura e nella dotazione tecnica, giusto? «La cosa più importante per me è la qualità dell'esperienza. Trovo che abbia più valore camminare su un sentiero in un bosco di faggi o abeti, piuttosto che attaccarsi alle funi metalliche di una via ferrata».
Dove se ne sta andando l'alpinismo? Che fine farà? «Sulla vetta del K2 si prova l'emozione di vedere l'orizzonte con una forma diversa, e non è facile rassegnarsi al fatto che finisca tutto lì: vogliamo di più. Questo fa parte della natura umana. Io tuttavia ho scelto di convogliare questo spirito di conquista verso vette di un altro tipo, non quelle tradizionali bensì altre più vicine alla nostra comunità umana. Sono fatto così: non riesco a scindere l'amore che ho per la montagna dall'impegno nelle tematiche sociali e ambientali».
È tardi quando esco dal ristorante Tamburello e risalgo in corriera con gli altri colleghi coristi alla volta di Belluno. Attraversando la marca trevigiana immersa nella notte la mia fantasia cammina altrove. In una remota vallata del Tibet, probabilmente.

Nessun commento:

Posta un commento

Caro lettore, questo blog è moderato, e per commentare è necessario prima registrarsi.