venerdì 14 dicembre 2018

L'ISOLA DEI GRADINI

Gli scalini di Alicudi
Arrivano i primi freddi e la memoria si volge verso l'Altrove passato come buon auspicio, sperando in bene, per quanto riserverà il futuro. Sulle ali dei ricordi ritorno dunque ad un'isoletta del Mar Tirreno che soltanto la presbite geografia delle grandi distanze può considerare al centro del Mare Nostrum, sorvolando sul fatto che si tratta di una delle terre più remote di questo vecchio angolo di mondo: perfino più distante e fuori mano rispetto a tante località di montagna che già conosco, le quali almeno una stradina tortuosa di collegamento con il fondovalle ben la possiedono. Per arrivare da queste parti nella bella stagione servono diverse ore di aliscafo, e una volta a destinazione tutto ti ricorda quanto è severa e avventurosa la vita senza le comodità cui siamo abituati noi del continente.
Poco più di cinque km quadrati di superficie in tutto, nei quali la dimensione verticale prevale di gran lunga su quella orizzontale già a partire dal piccolo porto e fino ai 675 metri del Filo dell'Arpa che costituisce l'elevazione principale dell'isola. Una volta sbarcati, abbiamo a disposizione per spostarci soltanto le vie della montagna: scale e sentieri scoscesi per i bagagli dei turisti trasportati a dorso di mulo, e già il percorso dall'imbarco alle case private rappresenta un'escursione con un dislivello rispettabile. Soltanto un centinaio i residenti stanziali, che soprattutto nella stagione fredda sperimentano il vero significato della solitudine: collegamenti ridotti con la terraferma e periodi prolungati di isolamento quasi totale, scarsità di servizi essenziali come un medico curante, una farmacia, una scuola. Gli anziani custodiscono con orgoglio le proprie case d'altura come fossero castelli, e trattano con sufficienza i perdigiorno che sprecano il proprio tempo frequentando il bagnasciuga.
La contrada di San Bartolo
Non hanno tutti i torti poiché da secoli, fin dal tempo delle razzie dei pirati saraceni, la vera ricchezza dell'isola sta in alto, sui terrazzamenti artificiali che offrono protezione e dove il terreno vulcanico garantisce raccolti rigogliosi per le coltivazioni tradizionali: ulivo, vite e capperi. In alto, al giorno d'oggi salgono anche gli escursionisti attirati dalla particolarità delle lunghe e ripide scalinate in pietra e dal panorama sbalorditivo che si coglie in vetta verso il resto dell'arcipelago eoliano. Poi, al ritorno, meglio affrontare con prudenza la discesa in alcuni punti un po' esposti, presso i quali soltanto qualche sporadico fico d'india potrebbe offrire una spinosa protezione in caso di scivolata.
Gli antichi greci la chiamavano Ericusa con derivazione dalla pianta dell'erica di cui era ricoperta, mentre il nome attuale ha radici arabe. È un cono vulcanico spento piantato in mezzo al mare, ma dalle sue pendici si possono ammirare, così distanti da confondersi con le nuvole, le nevi del monte Etna. Quant'è bella, remota ed insolita Alicudi: un pezzo di me stesso si è proprio fermato laggiù, e prima o poi dovrò tornarci per ritrovarlo.

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