martedì 22 gennaio 2013

SARDEGNA #1/4: GRANITE AL CANNONAU


Primavera 2007, nei dintorni delle ferie pasquali. Una compagnia di escursionisti bellunesi si avventura per un viaggio fai-da-te in un luogo affascinante e terribile allo stesso tempo: la Barbagia nuorese. È un’esperienza inattesa che concilia l’epico ed il comico, con alcune sequenze memorabili in uno dei luoghi più attraenti del Mediterraneo, grazie all’ospitalità di un popolo fiero ed amichevole come quello sardo.
Il protagonista assoluto della storia è la Sardegna stessa con la sua natura selvaggia, alla quale noi “continentali” non siamo più abituati: misteriosa ed a tratti inquietante come lo scenario notturno della campagna sarda, quasi del tutto priva di illuminazione artificiale se facciamo eccezione per i piccoli ed isolati borghi rurali.
Con questo racconto in quattro puntate, inserito nel filone In soffitta, mi ero sforzato all’epoca di rievocare le sensazioni provate in quei cinque giorni così singolari ed emozionanti. Oggi come allora, e sono trascorsi ormai sei anni, l’ascolto di un disco mi aiuta a ricordare: mi riferisco a L’indiano di Fabrizio De André, un album del 1981 che proprio a queste terre di frontiera deve la sua composizione.
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«Gran parte degli escursionisti che vengono in Sardegna ci guardano dall’alto in basso, poiché credono che da queste parti ci sia soltanto qualche collina senza importanza. In realtà non è del tutto vero». Sono parole di Mario, l'amico di Oliena che con passione e competenza ha organizzato itinerari e logistica della nostra permanenza pasquale nel Nuorese. Eh già, proprio la Sardegna, questa sconosciuta: terra di sugheri e cavità sotterranee più o meno note, di maiali selvatici e banditi, di vino cannonau e ginepri grossi come colonne doriche. Eravamo atterrati a Olbia meno di tre giorni prima, e dopo un’entusiasmante traversata del Supramonte avevamo infine appoggiato le chiappe per un breve riposo al villaggio nuragico di Carros. Mentre il sole mangiava le ore non potevo fare a meno di considerare come Mario avesse ragione da vendere.
Eravamo partiti da Belluno in cinque, convinti che ci attendesse una breve vacanza di poco impegno, e nemmeno troppo distante da casa. Avevamo torto marcio. La Sardegna è in realtà lontanissima dal rassicurante nord est e dalla nostra montagna semi-addomesticata, dove i segnavia CAI e le cartine topografiche offrono al viandante una relativa sicurezza ed autonomia. In Sardegna, ed in particolare nel Nuorese, è tutto un altro paio di maniche. Attraversando i suoi aridi altipiani sembra di trovarsi in Messico, e dirò di più: una passeggiata in una cittadina come Orgosolo, con rispetto parlando, è veramente degna di Clint Eastwood che entra nel villaggio dei fuorilegge nelle pellicole di Sergio Leone. Manca solo il pistolero a cavallo che ci corre incontro, con un foglio di carta appeso dietro la schiena ed una scritta eloquente: adios, amigo.
Qualche indizio in realtà l'avevamo già individuato prima della partenza. «Infilate anche le ghette nello zaino», ci aveva anticipato Mario per telefono. Noi pensavamo ad una presa in giro: sulle Dolomiti avevamo mendicato qualche fiocco bianco per tutti i mesi freddi, era impossibile che a meno di venti chilometri dal mare andassimo di nuovo ad imbatterci nel Generale Inverno. Previsione errata: il venerdì santo, giorno del supplizio di Nostro Signore, anche noi affrontavamo una passione ben più abbordabile e semiseria sulle creste di Punta La Marmora, nel gruppo del Gennargentu, sprofondando fino alla cintola nella neve marcia. Il tempo meteorologico non ci aiutava: dopo una corroborante granita a base di neve ghiacciata e vino cannonau, gustata in mezzo alla nebbia senza vedere a un palmo, facevamo un ritorno anticipato all'agriturismo nei pressi di Fonni. Ci attendeva un appetitoso menu a base di sanguinaccio, polmone in umido e zuppa di lardo.

Personaggi e luoghi si annunciavano come interessanti, nonostante la nostra iniziale e comprensibile diffidenza verso una terra diventata nel passato tristemente famosa per la piaga dei sequestri di persona. Il giorno del nostro arrivo da Olbia, Mario ci aveva dapprima accompagnato in un tour panoramico attraverso il capoluogo Nuoro e Oliena, prolungando poi il giro in direzione di Mamoiada, Fonni ed Orgosolo sulle orme di Graziano Mesina. Intanto ci raccontava qualcosa della sua vita: è nato ed abita tuttora ad Oliena, ma ha trascorso molti anni sulle montagne del Trentino dove ha conosciuto sua moglie, che è originaria di Fiera di Primiero. La sua figlia più grande, Angela, frequenta addirittura a Feltre lo stesso liceo dove mi sono diplomato anch'io qualche era geologica addietro. Proprio piccolo, il mondo.
Mentre rientravamo in automobile in direzione di Oliena compiendo un ampio giro sul versante meridionale del Gennargentu, Mario ci esponeva intanto i suoi piani per i giorni successivi: dopo il parziale ripiegamento di Punta La Marmora ci attendevano altri luoghi per noi ancora misteriosi e sconosciuti come la gola di Gorropu e la traversata integrale del Supramonte, programmata già per l’indomani. Aveva appena finito di parlare, quando incrociammo l'ennesimo cartello stradale reso illeggibile dai fori di una scarica di pallini. «Da queste parti è un segno di amicizia», ci assicurò Mario con un sorriso che era tutto un programma.

[#1/4, continua ...]

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