sabato 4 maggio 2019

DOLOMITI MERIDIONALI

Montagne che non garantiscono gloria o successo a chicchessia: la definizione non mi appartiene, ma la riconosco senz'altro come veritiera. Aggiungerei soltanto, da un punto di vista tecnico e per completezza d'informazione, che le Dolomiti meridionali garantiscono invece a chiunque quantità industriali di zecche. Si tratta di quella parte di Monti Pallidi più vicini alla pianura veneta, situati giusto a monte del medio corso della Piave: si presentano come massicci montuosi assediati dai boschi e solcati da valli strette e profonde, che non sono facili da frequentare a causa degli avvicinamenti lunghi ed impegnativi. Non è facile amarli se non si possiede un sereno rapporto con la fatica fine a se stessa, se non si è disposti a scarpinare per ore con dislivelli talvolta rispettabili, e senza grandi panorami come premio di consolazione.
Io sono un po' di parte perché si tratta delle montagne di casa, uno dei primi luoghi un po' selvatici che ho visitato dapprima con i miei genitori ed in seguito con altri amici montanari. Sui sentieri della Valle dell'Ardo ho subito il mio primo (e spero anche unico) infortunio in montagna, una banale storta alla caviglia mentre affrettavo il passo lungo la via del ritorno in fuga da un temporale; presso uno dei rifugi nel gruppo della Schiara ho svolto per qualche anno la funzione di ispettore per conto della mia sezione del club alpino, rendendomi spesso conto di quanto possa essere complicato fare il gestore in un luogo così scomodo da raggiungere; più tardi infine, grazie ai racconti dell'amico Franco che su queste crode fu prima cacciatore ed in seguito alpinista, venni infine a conoscenza che sulla Schiara ci sono le pareti rocciose più alte delle Dolomiti, oltre a percorsi escursionistici vertiginosi lungo i quali si avventurano quasi soltanto i camosci.
Un po' di avventura da queste parti l'ho vissuta pure io, sebbene con qualche risvolto comico. La mia prima estate da ispettore, il gestore di allora mi accolse con cordialità nella cucina del rifugio e mi offrì prima di tutto una bella ombra di rosso; in seguito, giusto per farmi comprendere appieno quanto fosse ingrato il suo lavoro, mi propose di seguirlo fino alla stazione di scambio della teleferica per seguire la dinamica delle periodiche operazioni di trasporto a valle dei rifiuti. Oggi la situazione è ben diversa da allora: una nuova teleferica a campata unica è stata realizzata non molti anni addietro per facilitare l'approvvigionamento del rifugio, ma in precedenza i gestori di turno dovevano accompagnare letteralmente i carichi lungo i due tronconi e scambiare il carrello a mano nel punto di intersezione. Un lavoraccio che portava via anche mezza giornata.
Già in quel tempo non provavo molta simpatia per i sentieri esposti sul vuoto, e quello in particolare era proprio un percorso da capre dove l'amico gestore sembrava muoversi con molta disinvoltura. Giunti a destinazione, il carrello venne scambiato ed il carico calato a valle in direzione di Ponte Mariano ma fu a quel punto che accadde l'imprevisto: forse i recenti lavori di manutenzione da parte di una ditta specializzata non erano perfettamente riusciti, e ce ne rendemmo conto alla fine della corsa del carrello, quando la fune traente della teleferica si sfilò completamente dal rullo e precipitò sul fondo dirupato della valle. Mentre io rimanevo a bocca aperta interrogandomi sul da farsi, l'amico gestore fu il primo dei due a riprendersi dando inizio ad un sonoro rosario di imprecazioni rivolto al firmamento.
Il costo dell'incidente ricadde sulla ditta incaricata della manutenzione, mentre io imparai che per quanti vivono e lavorano in montagna le zecche rappresentano soltanto l'ultima delle preoccupazioni.

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