martedì 27 novembre 2018

NASCOSTE NELL'ERBA

Questo articolo me l'ero proprio scordato. Correva l'anno 2008 e già allora, strano a scriversi ed ancor più a leggersi, sopportavo con malcelata difficoltà le zecche: se qualcuno si chiede come mai, significa che non è mai stato a funghi in un bosco o che la sede preferita della sua attività sportiva è una palestra linda e splendente dove gli insetti non mettono zampa. Reduce da quasi quattro settimane di antibiotici, provai allora a riderci sopra scrivendo il pezzo seguente, pubblicato in origine sulla piattaforma Splinder.  A qualche anno di distanza, umorismo e napalm a parte, l'unica prevenzione possibile sta ancora nel controllo meticoloso del proprio corpo dopo un'escursione, e naturalmente nel vaccino.

Se è riconosciuto il fatto che il fumo delle sigarette è attirato in direzione dei belli, non altrettanto provata è la teoria secondo la quale le zecche si attaccano di preferenza alle chiappe dei fessi. Poiché il sottoscritto è perseguitato con cadenza regolare da entrambi i suddetti tormenti, nella mia vita quotidiana mi sorprendo sempre più spesso a valutare se a conti fatti si tratta di un guadagno oppure di una perdita. Se insomma il fastidio di avere a che fare con fumatori e zecche sia controbilanciato dall'opportunità di essere un potenziale fotomodello. Mentre tuttavia la nociva specie dei fumatori può essere elusa con facilità, e questo soprattutto da quando alcuni importanti progressi nella legislazione italiana permettono di isolarne gli esemplari in ambiente aperto quando si trovano nell'esercizio delle loro funzioni, con i fastidiosi parassiti che infestano i nostri prati e le nostre montagne risulta tutto più difficile.
Prima di tutto non è materialmente possibile obbligare una zecca, ignobile artropode ematofago appartenente a un sottordine degli acari, ad andarsene a rompere le scatole altrove a norma di legge come si fa oggigiorno con i fumatori nei locali pubblici. Fino a prova contraria, questa immonda e nefasta creatura se ne sta infatti a proprio agio nella vegetazione incolta, in attesa di un passaggio a scrocco da parte di un malcapitato quadrupede o bipede in cerca di grane, ed a quanto pare risulta piuttosto arduo evitarne il contatto. Se l'ospite è così avveduto da accorgersi in tempo della presenza della zecca, nel migliore dei casi lo attende una lunga e scomoda esplorazione corporale davanti allo specchio, armato di pinzetta e lente di ingrandimento. In secondo luogo, la comune zecca dei boschi è portatrice di una lunga serie di malattie tra le quali è importante ricordare il morbo di Lyme e l'encefalite (TBE): la prima è facilmente identificabile per la presenza della celeberrima macchia rossa (eritema migrante) e possiede un decorso lungo e lento, che si può interrompere in modo abbastanza sicuro con una cura di antibiotici lunga un mese; la seconda rappresenta una minaccia assai più pericolosa a causa del periodo di incubazione breve e gli effetti nocivi sul sistema nervoso, ma esiste in ogni caso un vaccino che garantisce uno schermo immunitario sufficientemente affidabile.
Veniamo tuttavia alla fattispecie concreta: sono convinto che esista qualche legge cosmologica scritta nella pietra in virtù della quale, nel corso di una gita in compagnia effettuata in montagna in un ambiente a rischio, il sottoscritto scrivente finisce con cadenza regolare per ritrovarsi ricoperto da quantità spropositate di zecche, mentre la parte restante della comitiva si limita a contatti sporadici. La faccenda risulta ancora più preoccupante se si tiene conto del fatto che abitualmente non mi rotolo nell'erba, non faccio la cacca nei campi di pannocchie e soprattutto non sono un compagno di giochi di animali selvatici portatori conclamati come caprioli e cinghiali. Il mio primato personale giornaliero risale ad una domenica nella seconda metà degli anni Novanta, quando durante un'uscita sui monti di Zoldo finii per scrollarmi di dosso ben trenta esemplari: tutti minuscoli, coriacei ed estremamente cattivi.
Mi sia permesso un attimo di astrazione fino ai massimi sistemi: a cosa serve un animale inutile ed autoreferenziale come la zecca? Sulla montagna bellunese questo flagello si è diffuso a macchia d'olio grazie all'abbandono dei pascoli e alla riforestazione, ma a quanto pare è talmente insulso e repellente che nessun animale sembra trovarlo appetitoso. Può stare in agguato nella loppa (erba secca) per un periodo di tempo indefinito e non sembra essere sensibile agli agenti atmosferici: le abbondanti nevicate dello scorso inverno non ne hanno limitato la diffusione, e considerata la sua presenza anche su terreni recentemente teatro di incendi boschivi mi viene addirittura il motivato sospetto che questo acaro malvagio possa manifestare qualità ignifughe.
Tra i rimedi più fantasiosi e inutili me ne ricordo in particolare uno, che godette di improvvisa ma immeritata fama alla fine degli anni Novanta. Era il periodo della prima esplosione del fenomeno in terra bellunese, e per un breve periodo le Guardie Forestali ritennero opportuno ricorrere alla tecnologia, sperimentando un apparecchio a ultrasuoni che sulla carta avrebbe dovuto far desistere i temuti acari dall'approccio con l'uomo. Non si ha oggi notizia che lo stratagemma abbia ottenuto qualsivoglia effetto positivo. Semplicemente, dopo un po' di tempo non si parlò più dei miracolosi apparecchi e l'aneddoto venne dimenticato. Ai nostri giorni qualcuno ritiene ancora che un mezzo estremo ma concreto come il napalm possa almeno determinare una timida azione contenitiva di disturbo.

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