giovedì 21 febbraio 2013

SARDEGNA #2/4: HOTEL SUPRAMONTE

Scendendo dal Supramonte
Un esercito di cinque escursionisti in Sardegna, atto secondo. In questo canto vengono celebrate le gesta di una comitiva di bellunesi che arranca penosamente tra le pietraie del Supramonte ed i suoi affilati Karren, singolari formazioni tipiche dei terreni carsici. Il successivo incontro con un branco di maiali assai poco socievoli cambierà per sempre le loro vite. È il lunedì di Pasquetta del 2007, e di ritorno a casa li attende una sparatoria fuori programma...
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In cinque giorni di permanenza nel Nuorese non ci furono rilevanti occasioni per fare vita da nottambuli. Ad essere sinceri, nessuno del gruppo dava fin dall’inizio l’idea di essere un animale da discoteca, ma vero è anche che il programma di viaggio non avrebbe lasciato molto spazio per questo tipo di distrazioni: la partenza da Oliena era fissata quasi ogni mattina intorno alle 7 e, dopo aver prelevato Mario a casa sua, stavamo a spasso con lo zaino sulle spalle per tutta la giornata rientrando infine in agriturismo per l’ora di cena.
Non per questo mancavano le occasioni per fare festa. Oltre a diverse bottiglie di cannonau (sorbito nella sua varietà locale, chiamata Nepente) stappate in compagnia del nostro accompagnatore Mario e dei suoi numerosi amici, eravamo capitati in paese proprio nel periodo del santo patrono, con tutti gli annessi e connessi del caso. Una mattina, per esempio, tutta Oliena era paralizzata dai posti di blocco: attraversare la cittadina in automobile significava rischiare il coma etilico poiché ogni sosta comportava un obolo obbligatorio, un santino e un piombo di vino moscato offerto dall’allegra gioventù del luogo.
Oliena è anche famosa per la cerimonia religiosa dove viene rievocato l’episodio dell’incontro tra Gesù e sua madre. La vera attrazione della giornata non consiste tuttavia nel rito in se stesso, quanto piuttosto nella festosa sparatoria rigorosamente non a salve organizzata in omaggio alla sacra famiglia. Quel giorno il nostro gruppo si trovava lontano, sugli altipiani del Supramonte, ma rientrando in serata trovammo la sorpresa: l’intera piazza era ricoperta di cartucce e bossoli, anche di grosso calibro.
L’Hotel Supramonte di Fabrizio De André intanto ci aspettava: si tratta di un grande altopiano di natura carsica e dolomitica, un luogo elevato circondato da alcune agili pareti rocciose, popolato da maiali selvatici e disseminato di lecci e ginepri senza età. Il Supramonte potrebbe assomigliare ai Piani Eterni bellunesi, ma qui la vegetazione è molto differente e c’è inoltre una maggiore quantità di buchi. In molti di questi ultimi, venimmo a sapere con inquietudine, un ostaggio poteva in un recente passato essere tenuto nascosto per mesi interi.
La salita sul ciglio del Supramonte è abbastanza breve ed agevole: in meno di un’ora di cammino, e senza rilevanti difficoltà, si possono già ammirare dall’alto i tetti di Oliena dal primo belvedere. In direzione opposta il panorama consiste invece a perdita d’occhio in una sconfinata pietraia dove i pochi alberi sono deformati dal vento e sulla quale regnano imperturbabili i mufloni. Non esistono sentieri, né tabelle, né tanto meno cartine topografiche: l’intero itinerario attraverso il Supramonte avviene sui caratteristici Karren carsici, affilati come rasoi.
Sembrava quasi di stare in un fumetto di Tex Willer, ed in agguato dietro alle grandi rocce arrotondate era facile immaginare bande di tagliagole ed indiani Navajos. Prima di salire verso Punta Corrasi, l’elevazione più alta dell’altopiano con i suoi 1463 metri, attraversammo l’unica sparuta radura erbosa che si allarga proprio al centro del Supramonte, nei pressi di un ovile diroccato. «Fino all’anno scorso qui viveva ancora un pastore», ci confidò Mario: «Poi però lo hanno ammazzato. Si vede che non era un tipo simpatico». Ci guardammo tutti negli occhi, sgomenti.
Guardando dal Corrasi a est, verso la verde e lontana vallata di Lanaitto che rappresentava la nostra meta per la giornata, capimmo al volo che non sarebbe stato affatto facile orientarsi senza guida su un terreno simile. Fosse ad esempio salita la nebbia, e non avessimo avuto Mario ad accompagnarci, avremmo potuto soltanto sederci ed attendere un miglioramento del tempo, prima di tornare sui nostri passi. Fummo tuttavia fortunati: quel giorno il maltempo decise di manifestarsi soltanto con un breve acquazzone pomeridiano che ci lasciò quasi indenni.
Venne l’ora del pranzo e più tardi, scendendo dalla montagna in fuga dalla pioggia, facemmo il primo incontro ravvicinato con i maiali selvatici appena al riparo degli alberi: si trattava di un paio di porche belle ed imponenti che incutevano un certo timore specialmente alla parte femminile del gruppo, ma che si ritirarono in buon ordine quando Mario emise un sonoro «Ciò, ciò, ciò», il caratteristico richiamo dei pastori. Ci guardammo: dopo essere scesi per alcuni canali rocciosi pieni di fango, viscidi e scivolosi, anche noi eravamo sporchi come suini a due zampe.
Il paesaggio non finiva tuttavia di stupirci. Ben lontani dal percorrere qualsiasi traccia paragonabile al comune concetto di sentiero, talvolta ci spostavamo saltando da un carro solcato all’altro evitando le infide voragini; in altre occasioni attraversavamo verdi giardini selvatici pieni di alberi in fiore, dove un gran numero di maiali giocavano a nascondino; a tratti, delle isolate e coloratissime gole rocciose si lasciavano ammirare per lo spazio di un minuto ai lati del nostro tragitto, mentre noi prendevamo una breve e spinosa scorciatoia che ci avrebbe condotto in breve tempo a Lanaitto.
Appoggiammo a terra gli zaini appena approdati al villaggio nuragico di Carros, ormai quasi a portata di voce dagli amici che erano venuti a prelevarci in auto. Era ormai tardo pomeriggio. Sulla strada per Oliena restavano da affrontare il temibile rito della birra ghiacciata, fredda al punto di far male ai denti, e naturalmente la cena a base di pane frattau e pecorino una volta seduti a tavola: fu decisamente troppo per Andrea, che sentiva la nostalgia della cucina di casa e andò a letto senza cena. Sgombrammo le camere da alcune legioni di mosche clandestine e ci coricammo tutti: per il giorno seguente avevamo in programma un visita al Gorropu, il canyon più profondo d’Europa.

[#2/4, continua ...]

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