lunedì 29 ottobre 2018

QUALCHE ANNO FA, BENITO

Benito Saviane a Chies d'Alpago, 2004
Vivo un particolare momento della mia esistenza. I grandi vecchi della montagna - mi piace definirli così per una faccenda di rispetto, ma si tratta di amici che ho conosciuto dapprima per lavoro quando scrivevo sui giornali, e che in seguito ho frequentato per decenni - sono in buona parte andati avanti o comunque non più in grado di ricordare e comunicare causa motivi di salute. E proprio in questo lunedì di fine ottobre, mentre prima fuoco e poi diluvio mettono a soqquadro la mia terra, mi piace ricordare uno degli insegnamenti che questi amici montanari mi hanno trasmesso, dopo averli a loro volta appresi dalle precedenti generazioni: la montagna non è uno sport e nemmeno un pretesto per ridere in faccia al rischio, bensì il palcoscenico plurimillenario di un quotidiano rapporto di amore / odio fa l'uomo e l'ambiente naturale. Da entrambe le parti qualcosa si lascia e qualcosa si prende, ma fino a qualche decennio addietro l'attività umana sulle terre alte, anche se solo come risultato di un gioco a somma zero, era caratterizzata da un concetto di equilibrio oggi fuori moda.
Benito Saviane (1940-2010) è stato una di queste persone. Ci siamo visti in realtà per pochi anni, ma possedeva la rara qualità di saper trasmettere nello stesso tempo semplicità e carisma. Qualche tempo prima della sua scomparsa riuscii con qualche riluttanza da parte sua a pubblicarne un'intervista per Le Dolomiti Bellunesi (edizione estate 2009), della quale ripropongo qui di seguito un paio di capoversi. Mentre registravo il colloquio, mi colpì in particolare la sua capacità di anticipare le mie domande, tanto che alla fine ne uscì un lungo ed avvincente monologo. Mi congedò regalandomi una bottiglietta di succo di ribes fatto in casa, e ci demmo  appuntamento alla prima occasione utile, magari proprio per l’uscita in stampa dell’articolo che avrei scritto. Ci incontrammo ancora in un paio di occasioni in compagnia di amici comuni, ma meno di un anno dopo questi avvenimenti Benito purtroppo ci lasciò. L'articolo venne riprodotto in alcune parti anche sulla Rivista Mensile del Club Alpino Italiano.

[...] Come si può proteggere meglio la montagna? Lasciando che venga dimenticata oppure insegnando alla gente un turismo più responsabile? «La montagna deve essere abitata e lavorata. Senza il lavoro dell’uomo, l’ambiente naturale in breve tempo si riempie di cespugli e spine che entrano fin dentro la porta di casa. Soltanto quando si tiene sotto controllo l’espandersi della vegetazione è possibile salvaguardare l’integrità del territorio, mentre quando la gente non può più andare a camminare il dissesto idrogeologico è sempre in agguato. Mi dispiace invece osservare che da parte di alcuni “cittadini” esiste un pregiudizio di fondo verso i montanari che lavorano e sistemano la vegetazione. A livello globale ci sarà un pericolo deforestazione, ma a casa nostra dobbiamo anche stare attenti che il bosco non finisca per mangiarsi i paesi».
Ti senti più alpinista o montanaro? «Montanaro, la risposta è ovvia. È per una questione di rispetto per la montagna. Quando andavo ad arrampicare insieme a Franco ci capitava di rinunciare ad una salita se ci accorgevamo che il tempo meteorologico volgeva al brutto: la via sarebbe rimasta comunque lì ad aspettarci, ma la nostra pelle era una sola. Questo tipo di sensibilità mi viene per il fatto di essere un montanaro, e perché vivo in alta quota tutto l’anno. È anche un fatto di umiltà: quando si visita un posto nuovo, vale anche per il sottoscritto, è buona regola chiedere informazioni alla gente del luogo e non assumere l’atteggiamento dei finti esperti. L’anno scorso, mentre praticavo un po’ di manutenzione su un sentiero dell’Alpago tagliando alcuni alberi che ostacolavano il passaggio, mi sono sentito apostrofare da alcuni “turisti” preoccupati per le sorti del patrimonio vegetale. Ho ribattuto che stavo soltanto lavorando per la loro comodità: in fin dei conti io riesco a camminare anche sul terreno disagevole, mentre sono loro ad aver bisogno di itinerari larghi e pianeggianti» [...].

Nessun commento:

Posta un commento

Caro lettore, questo blog è moderato, e per commentare è necessario prima registrarsi.