sabato 17 dicembre 2011

PARETI DEL CIELO, UN ANNO DOPO


La copertina di Pareti del cielo
L'ultimo numero della Rivista bimestrale del Club Alpino Italiano (novembre – dicembre 2011) propone ai lettori una nuova recensione di Pareti del cielo, il libro dell'alpinista bellunese Franco Miotto uscito nell'estate del 2010 e curato dal sottoscritto (casa editrice Nuovi Sentieri). La riproduco qui di seguito. Mi domando soltanto cosa ne penserà ora Erri De Luca del fatto che Franco Miotto gli avrebbe copiato, tale e quale, la storia dell'ultimo camoscio.
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Questo libro che ripercorre la carriera alpinistica, e non solo, di Franco Miotto esce a otto anni di distanza dalla prima biografia, pubblicata con il titolo La forza della natura, grazie alla penna di Luisa Mandrino che con grande sensibilità e capacità introspettiva ha saputo portare alla luce la forte personalità di un protagonista assai schivo e riservato della storia alpinistica delle Dolomiti Bellunesi, parte della quale descrisse, insieme a Pietro Sommavilla, nella Guida dei Monti del Sole.

Ora, con il sottotitolo Passioni, storie e ricordi di una vita libera, Miotto ripercorre il suo itinerario di vita, alla luce dell'approccio alla montagna che altri scrittori e alpinisti hanno delineato nella storia alpinistica delle Alpi Orientali, come giustamente ricorda Roberto De Martin nella sua prefazione, da Antonio Berti a Julius Kugy, Da Dino Buzzati a Piero Rossi. È in questo terreno ideale che si muove Miotto, quando partendo dal racconto delle sue imprese sulle grandi pareti selvagge del Burèl, dello Spiz di Lagunàz, del Pizzocco, del Col Nudo, imprese che nel 2001 gli valsero l'assegnazione del premio Pelmo d'Oro, rivolge un invito a scoprire nuovi spazi d'avventura su quelle montagne che rispecchiano perfettamente il suo carattere. Ma c'è di più, e alcuni passaggi mi fanno pensare alle testimonianze di autori quali Bepi Mazzotti e, ai giorni nostri, Erri De Luca, in quel richiamo costante alla ricerca di un rapporto con la natura che non deve rispondere alle nostre esigenze, bensì al contrario. Emblematico è il passaggio in cui ricorda un episodio che cambiò radicalmente la sua vita, trasformandolo da cacciatore e bracconiere di camosci in alpinista, passaggio che ricorda per alcuni aspetti Il peso della farfalla di De Luca, nell'immedesimazione del senso della morte del camoscio abbattuto attorno al quale si stringe attonito il branco, episodio che lo spingerà ad abbandonare definitivamente la caccia. Senso della morte che ricompare ancora più drammaticamente, quando durante una scalata viene raggiunto dalla notizia della morte in un incidente della giovane figlia. Ma anche qui Miotto fa rientrare l'episodio nel senso della circolarità della vita, quasi recuperando la forza di continuare dalla voglia di vivere della figlia scomparsa.

Un libro che non si ferma alla superficie di fatti e persone, ma che si addentra nei meandri della vita, così come Miotto ha esplorato gli anfratti più reconditi di quelle austere montagne.

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