sabato 3 dicembre 2011

RICORDANDO MARIO

Un anno fa moriva Mario Crespan. In suo ricordo riporto qui di seguito una recensione del libro Ritorni a valle (Luca Visentini Editore, 2011), pubblicata su Il Corriere delle Alpi il 29 novembre 2011.
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Montanaro ed artista, atleta eclettico e viaggiatore incallito, alpinista ed intellettuale controcorrente: Mario Crespan è stato tutte queste cose insieme, nonostante fosse soprattutto noto per la sua abilità di illustratore su un gran numero di pubblicazioni di montagna. Ad un anno dalla sua scomparsa (Mario è mancato il giorno 11 novembre 2010 a causa di una malattia incurabile), un bel libro curato dall'amico editore Luca Visentini ci ripropone oggi i percorsi montani ed il punto di vista di Mario Crespan in veste di scrittore: «una serie di scritti a cavallo tra riflessione e racconto» intitolata Ritorni a valle come l'omonima rubrica tenuta per alcuni anni dall'autore sulla rivista telematica Intraisass.

Il Mario Crespan che ritroviamo tra le pagine di questo libro è davvero una personalità abituata a procedere «in direzione ostinata e contraria», come da sua spontanea citazione del cantautore Fabrizio De André. È il titolo stesso a rappresentare un elemento rivelatore: un alpinista di primo piano si sarebbe di certo soffermato sulle salite più impegnative e sui gradi più repulsivi, mentre in questo caso l'autore sceglie appunto di privilegiare il rientro a casa, che soltanto in apparenza è il momento più trascurabile della sua impresa. «È proprio il ritorno a valle dopo l'ascensione che opera un fulmineo montaggio dell'esperienza alpinistica appena vissuta», spiega Crespan nella nota introduttiva, «la razionalizza, ne circoscrive i significati e crea riserve di memoria fertile per i giorni a venire».

Mario aveva grande familiarità con similitudini e metafore, forse anche in virtù della sua convinzione che in ogni atto umano o tradizione popolare anche banali vi fosse un preciso significato che suscitava la sua curiosità. Ricordo come fosse ieri il nostro primo incontro, avvenuto nel 2003 a margine del premio Pelmo d'Oro per la cultura alpina appena conferito alla coppia Crespan - Visentini. «È sempre il vecchio problema dei ricci che devono passare l'inverno», spiegò in quell'occasione il Nostro a proposito delle problematiche del turismo in montagna: «Troppo vicini rischiano di trafiggersi, eccessivamente lontani finiscono invece per morire di freddo. Occorre trovare un asse di equilibrio che consenta di preservare la wilderness e nello stesso tempo praticare un turismo più rispettoso».

Ritorni a valle, da questo punto di vista, è pieno di simili riferimenti. I tortuosi sentieri nel bosco diventano ad esempio «terreno di scomodi ripiegamenti interiori» nell'attesa del cielo e della luce, simboli «di punti cardinali ed orientamento ritrovato». Perfino la prassi montanara della pulizia dei sentieri diventa spunto per una riflessione: «Un altro insegnamento che proviene da molto lontano nel tempo», lo definisce Mario osservando un compagno mentre sgombra alcuni ostacoli da un viottolo, «un sommesso invito a contribuire al bene comune, un'ascendenza di atavica saggezza giunta fin qui attraverso l'amico, ultimo frazionista di una lunga corsa di staffetta».

Non c'è soltanto la montagna in questa collezione di articoli di Mario Crespan. Ritorni a valle contiene naturalmente tutte le grandi passioni dell'autore come lo sci da fondo, la storia dell'arte, le due ruote motorizzate oppure a pedali. Senza dimenticare infine l'avventura del viaggio, che nel caso di Mario assume il preciso significato di una ricerca anche interiore. Elenco di seguito soltanto alcuni riscontri significativi: l'ascensione in Provenza sulla Montagne Sainte-Victoire sulle tracce del pittore Paul Cézanne; il pellegrinaggio sui luoghi di vita (e di morte) di Vincent Van Gogh; la vertiginosa traversata delle arcate del Pont du Gard nei pressi di Nîmes, improvvisata un bel giorno per meglio comprendere il rapporto dei nostri antenati con il vuoto e la vertigine.

A Mario Crespan scottava forse la terra sotto i piedi? Forse un poco sì: il temperamento del giramondo era parte di lui ed egli lo percepiva in modo chiaro. Lo si capisce senza ombra di dubbio quando si sofferma a descrivere la quiete di certi paesini alpini, che possono vantare atmosfere più domestiche e rassicuranti di molti spazi urbani: «Sento aleggiare accanto a me il soffio ancora intenso di eventi che ho udito più volte narrare, ed ai quali continuo a riconoscermi estraneo. Dalle finestre del mio studio gli occhi si fissano sulle montagne che mi parlano all'orizzonte di settentrione. E di nuovo mi assale la nostalgia di una casa che non potrò mai possedere». Chissà, forse in altri tempi ed in altri luoghi un altro romanziere ha già espresso pensieri simili. E li ha intitolati Il Richiamo della Foresta.

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